Alla ricerca di “lupi di mare”
Eurispes, Istituto privato che opera dal 1982 nel campo della ricerca politica, economica e sociale, ha recentemente comunicato i risultati del “Rapporto Italia 2013”, una rilevazione condotta nel periodo tra il 21 dicembre 2012 e il 4 gennaio 2013, fornendo una “fotografia” dell’attuale situazione socio-economica del nostro Paese.
Quali sono i più interessanti spunti di riflessione che emergono dalla lettura del “Rapporto Italia 2013?” Non tanto a nostro parere le indicazioni e le percezioni di carattere generale, quanto l’entità e il peso di alcune posizioni che emergono.
Che la situazione economica delle famiglie sia peggiorata nell’ultimo anno non è probabilmente una rivelazione che desta stupore. E neanche che la perdita del potere d’acquisto sia stata consistente per un gran numero di italiani. O che, per far fronte alla perdita di potere d’acquisto, molti siano ricorsi a drastici tagli su più voci di spesa o abbiano dovuto intaccare i propri risparmi.
La nostra attenzione è stata particolarmente attratta dalla sezione riguardante il “mondo lavorativo”. Qui, incrociando il “cosa” con il “quanto”, si possono evidenziare dei dati significativi e proporre delle interpretazioni in qualche modo provocatorie.
Ben il 92% delle persone intervistate, seppur con modalità e intensità differenti, riconosce di avvertire sintomi di stress derivanti dal lavoro e dalle mansioni che svolge. Tra le principali fonti di stress vengono citate in primo luogo le scadenze e le pressioni sui tempi di consegna, seguite dalla mancanza di tempo da dedicare a se stessi, dai carichi eccessivi di lavoro e dall’assenza di adeguati stimoli professionali. Ciò che può essere sorprendente è che la precarietà lavorativa viene sì indicata come fonte di stress ma solo nel 28% dei casi e comunque con una percentuale decisamente inferiore rispetto alle cause prima elencate.
Questo può generare delle considerazioni su come, seppur in un contesto fortemente incerto e difficile come quello odierno, gli elementi che vengono percepiti a più alto impatto stressante siano principalmente correlati all’organizzazione interna e alle relazioni personali, aspetti che vanno quindi ad incidere sull’interpretazione individuale del proprio lavoro. Con ciò non si intende sostenere che la ricetta per fronteggiare la crisi possa essere costituita da una buona dose di organizzazione, una manciata di motivazione e una spruzzata di equilibrio nella gestione del tempo e delle scadenze.
Probabilmente però lavorare su questi elementi può essere di grande utilità per fronteggiare il difficile contesto in cui lavoriamo, evitando sia di attribuire colpe e responsabilità ad un contesto generale sicuramente negativo sia di trovare alibi tesi a giustificare o mascherare carenze di altro tipo.
In altri termini, senza nulla togliere alla impellente necessità di interventi a livello politico, economico e sociale, che partono quindi idealmente “dall’alto”, chiediamoci se non si possano anche effettuare interventi “dal basso”: nelle aziende, nei singoli reparti, ed anche individualmente.
Questo significa, ad esempio, ricercare una maggiore focalizzazione su ciò che crea valore, definire obiettivi più specifici, non solo nel breve periodo ma anche nel medio-lungo, affrontare i compiti in maniera più strutturata. Evitare consapevolmente un approccio distruttivo del tipo “è inutile oggi fare programmi, o addirittura fare piani settimanali o giornalieri, tanto la turbolenza degli eventi scombinerà tutto”. E’ un’affermazione molto più diffusa di quanto si pensi, che tende a creare una cultura basata sulla rassegnazione, in cui si radicano diffusi atteggiamenti di distacco, disillusione e talvolta anche di cinismo.
Ed è ciò che Gian Maria Fara, Presidente Eurispes, sottolinea nelle sue conclusioni del “Rapporto Italia 2013”, affermando che «il Paese è completamente ripiegato sul suo presente… si è operato affidandosi al giorno per giorno con risposte parziali, spesso improvvisate, con misure utili al massimo a tamponare qualche falla.” Ma soprattutto Fara riporta l’attenzione sui singoli, affermando che purtroppo il “presentismo” è diventato la nostra filosofia di vita”.
E’ come se i componenti di un equipaggio di una barca a vela fossero convinti dell’inutilità di tracciare una rotta, perché comunque i venti e il mare agitato faranno deviare da essa. Con questo approccio saranno probabilmente pronti, anche se con un’energia non sempre elevata, a “tamponare le falle”. Cosa fare invece per evitare che le falle si aprano? Cosa fare per tracciare rotte, valutando tutte le possibili alternative, cercando di interpretare la turbolenza dell’ambiente?
Varrà forse la pena di chiedere indicazioni a qualche vecchio “lupo di mare”…
Fabio Napoleone
20 marzo 2013 at 14:57Concordo con l’estensore del pezzo: troppo frequentemente si opera a ‘testa bassa’, credo, peraltro, più per necessità che per scelta.
Probabilmente la figura del ‘consulente’ (il Lupo di Mare?), non influenzato emotivamente e materialmente dall’ansia di raggiungere gli obiettivi di business, può essere quella che aiuta imprenditori e manager ad alzare la testa ed a guardare ‘oltre’ con lucidità.
Che il ‘presentismo’ sia diventato la nostra filosofia di vita o la corrente di pensiero più diffusa è tristemente vero come è probabilmente vero che, stante la ultra-decennale nociva presenza di una classe dirigente politica, una forte spinta possa e debba provenire dal basso. Credo che uno sforzo particolare debba essere prodotto nella ricerca di creazione di ‘sistemi’ di aziende, che crei un grande valore da un insieme di valori più piccoli.
Ho molta fiducia nei nostri giovani, se riusciremo ad offrire loro un’alternativa alla fuga all’Estero.
Istintivamente sono andato a leggere cosa dice Wikipedia di ciò che è (stato) uno dei due fenomeni opposti del Presentismo e, cioè, il Futurismo: ‘Il Futurismo nasce in un periodo (inizio Novecento) di grande fase evolutiva dove tutto il mondo dell’arte e della cultura era stimolato da moltissimi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici, e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione …: tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, “avvicinando” fra loro i continenti. Parliamo di un secolo fa ma sembra oggi.
Ancora ‘Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava all’interno dell’essere umano una nuova realtà: la velocità.’.
Infine ‘Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luce artificiale, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel tempo impiegato per produrre o arrivare ad una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione.’.
E’ ciò che si avverte trovandosi in uno dei paesi emergenti, non necessariamente a migliaia di chilometri da noi ma anche sul Mediterraneo (vedi Turchia).
Quindi, Il presentismo esiste ed è un fenomeno che influenza pesantemente la Vecchia Europa ma soprattutto la nostra Italia Vecchia. Il fattore demografico, infatti, non è ininfluente se parliamo di ‘spinta’ (= energia).